Mario Tobino, Mondadori, Milano, 1971.
In Per le antiche scale Mario Tobino ci mette nelle condizioni di osservare la malattia dal punto di vista “clinico”, quello cioè del medico ospedaliero e la malattia è per il medico, soprattutto il nucleo intorno a cui ruota una comunità: un microcosmo fatto di dottori, amministratori, infermieri e pazienti. Per il medico la malattia è una porzione di vita, una teoria di eventi delimitata da due date che stabiliscono un “prima” e un “dopo” e divide la prima età dalla terza età.
Mario Tobino ci delinea il dramma di un personaggio che, nel corso della sua vita professionale, vede crollare, insieme al proprio modello di riferimento, il “mitico”, dottor Bonaccorti, romantico e paternalistico, inesorabilmente tutto il mondo che circonda se stesso, a cui è pervicacemente attaccato. Il dottor Anselmo mal sopporta le tesi progressiste, le subisce, e intanto registra gli ultimi fuochi di un mondo che sa destinato a scomparire. Da clinico osservatore si fa testimone del passaggio dal “prima” al “dopo”.
E in mezzo un universo popolato da personaggi leggendari che, come i marinai delle navi di un tempo, ingaggiano lotte furibonde con gli elementi: i venti, i flutti, l’oscurità della notte, la sconfinata distesa. E quando la morte giunge a por termine alla vita di uno di loro, da «vecchio capitano, sa con chi tratta. Certamente si era presentata con un sorriso: “Rimonta a bordo!” Bongi, la giacchetta gettata su una spalle, aveva di nuovo finalmente attraversato la passerella.»
Per il dottor Anselmo, il manicomio era soprattutto uno straordinario contenitore di poesia.